Ridere per vivere

autoironia, ridere per vivereRidere per vivere. Stare bene con se stessi  significa rispondere bene agli stimoli piacevoli saper Ascoltare EmpaticaMente e vivere PositivaMente.
Ridere per vivere: questo è quanto afferma Gabriella Merenda, esperta in terapia familiare, di coppia e individuale, in una intervista che ci ha rilasciato in esclusiva.

 D. Gentile Dottoressa lei è specializzata in Psicoterapia familiare e sistemico relazionale, è impegnata nelle problematiche legate alla tossicodipendenza, alla solitudine e crede molto nel motto Ridere per Vivere . Vorrei entrare subito in argomento e chiederle cosa intendete esattamente per ridere per vivere.

R. Ridere per vivere significa utilizzare l’umorismo come chiave di lettura possibile in situazioni di sofferenza. La chiave di lettura è legata alla capacità di sdrammatizzare alcune situazioni, ironizzando e prendendosi meno sul serio.
D. La solitudine gioca dunque un ruolo determinante nella vita ma non tutti sanno stare soli con se stessi. Come distinguere chi è solo e sta bene da chi invece ha bisogno di aiuto?
R. La solitudine è una condizione umana e Winnicot grande studioso di psicologia infantile riteneva che i bambini, quando scarabocchiano e canticchiano, stanno allenandosi a stare soli in presenza di qualcuno. Il che vuol dire che sin da piccoli abbiamo bisogno di stare soli per riconoscerci ma siamo comunque animali sociali. Pensate al senso di stare soli che ognuno di noi prova mentre è pigiato nella metropolitana insieme ad un centinaio di persone! Lì ci sentiamo forti dello stare soli in presenza di altri per un meccanismo di protezione e difesa del nostro esiguo spazio vitale. Durante il processo di crescita il confronto con gli altri rinforza l’idea che abbiamo di noi e contemporaneamente contribuisce a modificarla. Così se ho un buon rapporto con me stesso posso permettermi di stare bene da solo.Il punto di differenziazione tra un processo sano di solitudine a quello patologico sta nella quantità e modalità dello stare soli.
Infatti, il tempo che chi soffre dedica allo stare solo cresce lentamente ed esponenzialmente portando in alcuni casi a un vero e proprio ritiro dalla realtà, ad una idea di sé inadeguata ed al conseguente tentativo disperato e disperante di autoconsolazione. Purtroppo chi ha bisogno d’aiuto nega tale bisogno e di fronte a situazioni gradevoli, ludiche, divertenti le persone che soffrono tendono a ritirarsi, aumentando così il senso di solitudine. È necessario quindi comunicare all’esterno dolore e sofferenza e non solo ai familiari, ai quali anzi, spesso neghiamo ogni parola nel tentativo di proteggerli o di punirli. Quindi sintetizzando direi che si distingue chi è solo e sta bene da chi ha bisogno di aiuto dalla risposta che la persona dà agli stimoli piacevoli, insomma se è capace di…ridere per vivere!
D. Si dice che nessuno può ritenersi con sicurezza immune dalla depressione. È così?
R. Ognuno di noi vive momenti diversi nella sua vita e passa dei periodi tristi, di dolore, di perdita che portano a sentirsi depressi. Ognuno di noi sperimenta poi il sollievo, il ritorno progressivo ad un umore più sereno, se è capace di attribuire un senso a ciò che gli è accaduto. Chi non riesce a dare senso al suo dolore, comincia a perdere desideri e iniziative e rischia di non far mai passare la febbre anche se la depressione non è un virus come l’influenza. Non esiste un vaccino e non siamo tutti influenzabili. Esistono però modalità di relazionarsi alla vita di tutti i giorni e modalità acquisite dalle nostre esperienze o da quelle delle persone che ci stanno più vicino che potrebbero essere più o meno semi di fenomeni depressivi. Io non credo che si debba parlare di depressione come di malattia, la depressione è la febbre che ti viene quando hai l’ influenza. Si può essere depressi per cause diverse, così come si ha la febbre per cause diverse. Ricordiamoci però che la febbre è una reazione sana del corpo alla malattia, non la malattia; ma se non scopriamo la malattia la febbre persiste e chiedere aiuto e non chiudersi è il primo passo necessario per capire ciò che sta avvenendo e cercare di superarlo.
D. Dottoressa, secondo lei, è possibile individuare precocemente dei segnali utili per aiutare la prevenzione?
R. È possibile ma sicuramente non è facile. Forse è più facile prevenire abituandoci a parlare di dolore e sofferenza ai nostri figli, perché nel tentativo di proteggerli togliamo loro la possibilità di piangere, di dare sfogo al loro dolore che a noi può apparire una cosa da nulla mentre per loro è una gran cosa. Poi ogni tanto dovremmo mostrare i nostri punti deboli. Se vogliamo parlare di prevenzione, dobbiamo iniziare a cambiare la rappresentazione di noi senza far finta di stare bene sempre e comunque e ogni tanto…!
Gentile Dottoressa la ringrazio le auguro davvero un buon lavoro e le dico arrivederci a presto.

Orietta Matteucci

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